26.04.2021 IL CONTROLLO DELLA RADIOATTIVITÀ AMBIENTALE NELLE MARCHE DALL’INCIDENTE NUCLEARE DI CHERNOBYL AD OGGI
L’INCIDENTE DI CHERNOBYL
Il 26 aprile di 35 anni fa si verificò nella centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, il più grave incidente della storia, causato da una serie incredibile di errori e di infrazioni procedurali, in un sistema di per sé tecnologicamente vulnerabile. L’incidente si verificò durante un test a bassa potenza effettuato sul reattore n.4 che andò fuori controllo e portò alla distruzione del nocciolo del reattore ed al verificarsi di una prima esplosione con violenta fuoriuscita di materiale incandescente e di una seconda esplosione accompagnata da fuoriuscita di combustibile e grafite. Gli edifici furono gravemente danneggiati e lo scoperchiamento del reattore rese accessibile all’aria la grafite calda tanto da provocare la combustione di tale materiale.
Il reattore n. 4 della centrale nucleare di Chernobyl dopo l’incidente
Dal momento dello scoperchiamento del reattore e del suo edificio esterno iniziò il rilascio nell’ambiente di una notevolissima quantità di nuclidi radioattivi sia volatili che solidi [1]. Più di 100 elementiradioattivi furono rilasciati in atmosfera, la maggior parte dei quali erano a vita breve e sono decaduti molto rapidamente. Lo Iodio-131 (I-131), lo Stronzio-90 (Sr-90) ed il Cesio-137 (Cs-137) sono gli elementi più pericolosi che sono stati rilasciati. Essi hanno un tempo di dimezzamento fisico (tempo necessario perché la quantità di una sostanza si riduca della metà) pari rispettivamente a 8 giorni, 29 anni e 30 anni.
Lo Sr-90 ed il Cs-137 sono quindi ancora oggi presenti. Lo I-131 può provocare tumori alla tiroide, lo Sr-90 può indurre la leucemia, mentre il Cs-137 si distribuisce in tutto il corpo e può danneggiare organi come il fegato e la milza.
LA CONTAMINAZIONE RADIOATTIVA IN ITALIA
Durante i 10 giorni della durata del rilascio dei materiali radioattivi il vento cambiò spesso direzione girando praticamente di 360° ed investendo vari territori dell’Europa e del mondo. In Italia il primo allarme dell’arrivo della nube radioattiva fu dato la mattina del 30 aprile 1986 dal Centro Comunitario di Ricerca di Ispra (VA) che segnalò un aumento, a partire dalle ore 6, della radioattività in aria a livello del suolo.
La Regione Marche venne investita dalla nube radioattiva proveniente da Chernobyl, il giorno successivo 1° maggio, come si può vedere dalla simulazione delle traiettorie seguite in Europa dalla nube radioattiva a seguito dell’incidente di Chernobyl, effettuata molti anni dopo dall’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare Francese (IRSN) e visionabile in rete al seguente link: https://www.irsn.fr/en/publications/thematic-safety/chernobyl/pages/the-chernobyl-plume.aspx.
I livelli della contaminazione al suolo dei radionuclidi sono determinati sia dalla quantità dei radionuclidi presenti nella nube sia in modo rilevante dalla concomitante presenza di precipitazioni atmosferiche. In quei giorni ci furono diversi eventi piovosi che produssero aree ad alta contaminazione, anche a distanze notevolmente lontane dall’impianto nucleare.
Dalla mappa della contaminazione da Cs-137 in Italia riportata nell'immagine sottostante si possono osservare 3 zone con i livelli più elevati di contaminazione al suolo, pari a 40 kiloBecquerel/m2 (kBq/m2): la prima zona è quella situata a cavallo della Dora Baltea, vicino ad Ivrea, la seconda zona a cavallo del ramo destro del lago di Como e la terza zona si estende nella zona dolomitica dell’alto Piave, nel Veneto ed in Friuli [3].
Come è possibile vedere dalla mappa, le Marche sono state interessate, invece, da livelli di contaminazione al suolo di Cs-137 molto più bassi con livelli al massimo pari ad alcuni kBq/m2.
mappa della concentrazione di attività al suolo di Cs-137 in Italia nel 1986
LA GESTIONE DELL’EMERGENZA IN ITALIA
L’Italia si trovò allora del tutto impreparata, così come altri paesi europei, ad affrontare la situazione a causa della mancanza di un piano nazionale per affrontare le emergenze nucleari, della mancanza di livelli di riferimento di dose primari e livelli derivati idonei nel caso di fallout radioattivo ed anche di laboratori in grado di raccogliere e misurare campioni rappresentativi su tutto il territorio nazionale.
Il coordinamento dei dati sperimentali venne effettuato dall’Ente Nazionale per l’Energia Atomica/Dipartimento Sicurezza e Protezione (ENEA/DISP). Nei casi frequenti di particolare carenza di informazioni radiometriche relative ad alcune aree del territorio squadre dei Vigili del Fuoco o dell’ENEA/DISP provvederono alla raccolta dei campioni che vennero successivamente misurati in uno dei laboratori nazionali (presso ENEA, ENEA/DISP, ISS, VVFF, etc.). A partire dal luglio 1986 il sistema di organizzazione dei prelievi e delle misure venne ristrutturato, prevedendo l’esistenza di 2 livelli [4].
Il primo livello era costituito dall’Osservatorio Nazionale che aveva il compito di seguire su scala nazionale l’evoluzione temporale della contaminazione in un limitato numero di matrici significative. Il secondo livello era costituito da laboratori distribuiti sul territorio nazionale, principalmente presso i Servizi di Fisica Sanitaria degli Ospedali, con il compito di seguire la contaminazione di tutte le matrici alimentari rilevanti per la dieta italiana.
LA CONTAMINAZIONE RADIOATTIVA NELLE MARCHE
Nelle Marche fu attivato un laboratorio di misura presso il Servizio di Fisica Sanitaria della USL n. 12 di Ancona, che in quell’anno effettuò una serie di analisi radiometriche su vari campioni alimentari. Nel grafico sottostante vengono riportati i livelli massimi di concentrazione di attività misurati di Cs-134, Cs-137 e I-131 in alcuni campioni, espressi in Becquerel/kg (Bq/kg).
analisi di spettrometria gamma effettuate nel 1986 dal Servizio di Fisica Sanitaria della U.S.L. n. 12 di Ancona
I livelli di concentrazione di attività presi come riferimento in Italia per la contaminazione degli alimenti nei primi giorni dell’incidente di Chernobyl prevedevano dei livelli di emergenza per lo I-131, il Cs-137 e il Cs-134 pari a rispettivamente a 3070 Bq/kg, 2480 Bq/kg e 1110 Bq/kg e dei livelli di attenzione con valori 10 volte più bassi di quelli di emergenza.
Per quanto riguarda i livelli di concentrazione di radioattività in aria a maggio del 1986 non era presente nelle Marche alcuna stazione di campionamento del particolato atmosferico dedicata al controllo della radioattività ambientale. Consultando però i dati dei rapporti dell’ENEA/DISP risulta comunque che il valore medio di attività beta totale in aria nel mese di maggio rilevato nell’Italia Centro-Settentrionale in alcune stazioni di prelievo del particolato atmosferico del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare (AM) fu di 4439 mBq/m3, valore enormemente superiore al dato del precedente mese di marzo, ossia prima dell’arrivo della nube radioattiva, pari a 2.1 mBq/m3.
Successivamente, a partire dal mese di settembre di quello stesso anno, fu inserita nella rete nazionale di campionamento anche la stazione di Falconara dell’AM, che fornì per quel mese un valore medio di 1.98 mBq/m3, ovvero un valore analogo ai livelli misurati prima dell’incidente di Chernobyl [5].
L’ATTIVITÀ DI CONTROLLO DEL CRR MARCHE
Nel 1987 il Ministero della Sanità emanò la circolare 2, in cui furono impartite delle direttive agli organi regionali per l’esecuzione di controlli sulla radioattività ambientale. A seguito di quella direttiva vennero creati in ciascuna regione d’Italia dei Centri Regionali di Riferimento per il Controllo della Radioattività Ambientale (CRR).
Nelle Marche il CRR fu istituito presso l’Area Fisica del Servizio Multizonale di Sanità Pubblica della USL n. 12 di Ancona. Tale Centro continuò ad effettuare il monitoraggio annuale della radioattività sui campioni alimentari e per un certo periodo (maggio 1993-febbraio 1999) anche sui filtri di prelievo del particolato atmosferico provenienti dalle stazioni dell’Aeronautica Militare di Brindisi e di Rimini (quest’ultima aveva nel frattempo sostituito quella di Falconara) e ad inviare tali dati al Ministero della Sanità e all’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA).
L’ATTIVITÀ DI CONTROLLO DELL’ARPAM
Ad ottobre del 1999 divenne operativa l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale delle Marche (ARPAM), istituita ai sensi della L.R. n. 60/1997, e con essa ci fu il passaggio del CRR di Ancona al Servizio Radiazioni/Rumore della suddetta Agenzia.
L’attività di monitoraggio della radioattività continuò ad essere effettuata in questa struttura ed i dati delle misure ad essere inviati annualmente all’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici (APAT), che coordinava la Rete Nazionale di Sorveglianza della Radioattività Ambientale ed aveva il compito di trasmettere i risultati delle misure radiometriche effettuate dai vari laboratori di misura alla Commissione Europea, ai sensi dell’art. 104 del D.Lgs.vo n. 230/95 e s.m.i.
Nel corso degli anni successivi l’U.O. Radioattività Ambientale, struttura a valenza regionale dell’ARPAM deputata a tale tipologia di controlli, provvide ad implementare sia varie tipologie di matrici ambientali e alimentari da sottoporre ad analisi che varie modalità di campionamento.
Nel 2003 fu installata presso la sede di Ancona una stazione di prelievo del particolato atmosferico con un campionatore avente una portata pari a 100 litri/minuto e i cui filtri campionati giornalmente venivano sottoposti a misure sia di attività beta totale che di spettrometria gamma. Quell’anno fu riorganizzato, in collaborazione con il Servizio Veterinaria, Igiene, Sicurezza e Qualità Nutrizionale degli Alimenti della Regione Marche, anche il piano di campionamento regionale per il controllo della radioattività negli alimenti, che veniva effettuato da parte del personale di vigilanza ed ispezione delle Aziende Sanitarie Locali. La riorganizzazione puntò a definire la tipologia di prodotti alimentari da campionare, la frequenza di campionamento, la quantità da prelevare e la tipologia dei punti di prelievo.
Nel 2006 fu introdotta la misura dell’attività alfa totale sui filtri di raccolta del particolato atmosferico, in aggiunta alla misura dell’attività beta totale ed alle analisi di spettrometria gamma.
La misura dell’attività alfa totale risulta importante per valutare l’eventuale presenza di emettitori alfa durante le situazioni di emergenza, ma per poter effettuare tale valutazione è necessario disporre di adeguate serie storiche di dati relative a periodi di non emergenza.
In quello stesso anno furono analizzati, su richiesta di un’associazione ambientalista, anche campioni ambientali da loro prelevati nella zona di Khoiniki, città della Bielorussia situata in linea d’aria a circa 70 km dalla centrale nucleare di Chernobyl. I campioni prelevati di succo di betulla, di corteccia di betulla e di muschio avevano livelli di concentrazione di attività di Cs-137 pari rispettivamente a 3.60 ± 0.76 Bq/kg, 675 ± 59 Bq/kg e 3568 ± 319 Bq/kg.
Nel 2007 il laboratorio ebbe l’opportunità di analizzare ancora altri campioni sia ambientali che alimentari prelevati dalla stessa associazione ambientalista questa volta nella città bielorussa di Dobrush, situata in linea d’aria a circa 140 km dalla centrale nucleare di Chernobyl e nelle zone di Vetka e Klimovichi. I risultati delle analisi su tali campioni fornirono livelli di concentrazione di attività di Cs-137 pari a 2.29 ± 0.30 Bq/l nel siero di latte e valori compresi tra 229 ± 5 Bq/kg e 1469 ± 62 Bq/kg nei campioni di terreno.
Nel 2011, a seguito dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima in Giappone, fu attivata presso la sede del laboratorio anche una stazione di prelievo della deposizione umida e secca.
Analisi di spettrometria gamma effettuate sui 2 campioni di acqua piovana prelevati nei giorni 28/29 marzo e 5 aprile 2011, mostrarono la presenza di tracce di I-131 nella deposizione umida, con livelli pari rispettivamente a 20 ± 4 Bq/m2 e a 0.7 ± 0.2 Bq/m2, mentre per quanto riguarda il Cs-137 i livelli misurati furono inferiori alla Minima Attività Rivelabile (M.A.R.), che corrisponde alla sensibilità strumentale.
Tali livelli erano estremamente bassi e non risultano significativi dal punto di vista del rischio radiologico.
Analisi di spettrometria gamma effettuate su campioni di filtri di prelievo del particolato atmosferico in quello stesso periodo fornirono livelli sempre inferiori alle M.A.R. sia per quanto riguardava lo I-131 (0.5 mBq/m3) che il Cs-137 (0.7 mBq/m3).
Nel 2013 fu attivato il campionamento e la misura mensile dei fanghi e delle acque reflue in uscita dai principali impianti di depurazione civile della provincia di Ancona. La misura di queste matrici fornisce informazioni sull’eventuale carico radioattivo introdotto in ambiente, che può avvenire sia a seguito dell’immissione nel corpo idrico recettore di acque reflue provenienti da impianti di depurazione civile sia dall’utilizzo in agricoltura dei fanghi depurati. Controlli di questo tipo che erano stati effettuati in altre regioni avevano mostrato che, nel caso di rilevamento di livelli significativi di isotopi radioattivi in tali matrici, la causa principale fosse riconducibile ai trattamenti diagnostico/terapeutici con radioisotopi condotti su pazienti non degenti presso le strutture ospedaliere. Tali pazienti, dopo la cura, fanno ritorno al proprio domicilio immettendo i reflui organici direttamente nella rete fognaria.
I risultati delle analisi individuarono nei fanghi di depurazione la presenza di I-131 e di Cs-137, il primo radionuclide viene comunemente utilizzato in diagnostica/terapia medica mentre il secondo radionuclide è dovuto alle ricadute al suolo prodotte dalle esplosioni nucleari in atmosfera degli anni ’50 e ’60 e dall’incidente nucleare di Chernobyl nel 1986.
In un impianto furono anche rilevati Indio-111 e Lutezio-177, radionuclidi utilizzati rispettivamente il primo in diagnostica medica, il secondo in terapia medica.
Comunque tutti i livelli di concentrazione di attività rilevati risultarono sempre inferiori al limite di 1000 Bq/kg all’epoca vigente.
Infine nel 2018 fu attivata la misura dell’attività alfa totale e beta totale e della concentrazione di attività di radon in campioni di acqua destinata al consumo umano prelevati dal personale dei Dipartimenti di Prevenzione delle varie Aree Vaste dell’ASUR Marche, sulla base del 1° Programma di Controllo Regionale redatto, ai sensi del Decreto Lgs.vo 28/2016, dalla Regione Marche in collaborazione con l’ARPAM e l’ASUR Marche.
Negli anni 2018-2020 sono state sottoposte a controllo le reti acquedottistiche di 17 Zone di Fornitura della Regione Marche che servono una popolazione con più di 20000 abitanti, per un totale di circa 1100000 abitanti, pari al 72% della popolazione marchigiana. I risultati delle analisi effettuate hanno mostrato che finora non vi è stato alcun superamento del valore di parametro per quanto riguarda la dose indicativa e la concentrazione di attività di radon.
Nei grafici seguenti vengono riportati rispettivamente, per alcune matrici particolarmente significative, i livelli massimi di concentrazione di attività di Cs-137 nei campioni alimentari, i livelli di attività alfa totale e di attività beta totale nei campioni di particolato atmosferico misurati nel corso dell’anno 2020.
analisi di spettrometria gamma effettuate nel 2020 dall’U.O. Radioattività Ambientale del Servizio Laboratorio dell’ARPAM di Ancona
livelli settimanali di concentrazione di attività alfa totale misurati nel particolato atmosferico presso la stazione di campionamento di Ancona dell’ARPAM nell’anno 2020
livelli settimanali di concentrazione di attività beta totale misurati nel particolato atmosferico presso la stazione di campionamento di Ancona dell’ARPAM nell’anno 2020
Come è possibile vedere nel caso dei campioni alimentari tutti i livelli di concentrazione di attività di Cs-137 sono inferiori alla Minima Attività Rivelabile, che è dell’ordine di 0.1-0.3 Bq/kg (indicata in figura con il segno di <), tranne che per i funghi porcini, in cui si ha un valore pari a 1.15 ± 0.22 Bq/kg, superiore alla M.A.R.
Infine, dai dati del particolato atmosferico si può evincere che i livelli di radioattività risultano pari a quelli che erano presenti in atmosfera prima dell’incidente di Chernobyl.
Da quanto sopra ricordato si può concludere che la situazione nelle Marche è tenuta sotto controllo per quanto riguarda la valutazione dei livelli di esposizione della popolazione alla radioattività ambientale e che nel corso degli anni, a partire dal 1986, l’attività di controllo è stata ampliata a tutte le matrici più significative.
La lezione che dobbiamo trarre da questa esperienza è quella di non abbassare la guardia. L’Italia, pur essendo un Paese che non ha più centrali nucleari in funzione, deve continuare a sostenere l’attività di controllo della rete nazionale di sorveglianza della radioattività ambientale, dotando i laboratori della rete di personale adeguato e di strumentazione aggiornata, evitando di perdere le competenze acquisite nel corso di questi anni, affinché non capiti di trovarsi impreparati nel caso malaugurato di un nuovo incidente nucleare.
Corrado Pantalone
U.O. Centro Regionale Radiazioni Ionizzanti – Servizio Laboratorio Multisito ARPAM – Ancona
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